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Supino - Cercavano "Ecetra" ma hanno trovato una villa romana.
Trentasei anni fa la scoperta di Ernesto Carbonelli e di Roberto D'Arolfi.

LA VILLA ROMANA A CONA DEL POPOLO

Sono trascorsi trentasei anni da quando i primi resti della villa romana in localita' Cona del Popolo vennero riportati alla luce. Allora si ipotizzo' che si trattasse dell'antica Ecetra, mitica capitale dei Volsci, incappata nella distruzione punitiva operata dai romani, che ne cancellarono l'identita'. Successivamente ogni dubbio venne fugato perche', quanto riaffiorato dalla terra lasciava presupporre, cosi' come in realta' e' stato, che si trattasse di un ambiente termale di epoca romana. L'interessante scoperta, fu di due giovani appassionati di archeologia, entrambi di Supino, oggi residenti nella citta' di Toronto: Ernesto Carbonelli e Roberto D'Arolfi.

Tante le ipotesi ed altrettante le supposizioni sul destino di Ecetra; sulla sua esatta ubicazione si e' detto e scritto molto ma l'arcano rimane celato dietro un apparente ed impenetrabile mistero, sebbene qualcuno sembra essere giunto a conclusioni risolutive che escludono perentoriamente la presenza di Ecetra in questa parte della Valle del Sacco (Cesare Bianchi, "Ecetra", Comune di Supino, 1986).

"Decidemmo di scavare proprio su quel prato a Cona del Popolo - racconta Carbonelli dal suo telefono oltre oceano - perche' ci eravamo accorti che da quella terra, i coloni, oltre ad erba per gli animali, non riuscivano a far crescere nulla e per questo non erano nemmeno soliti arare. Del resto il terreno era molto duro e sapevamo che anche i tentativi di vangarlo erano risultati vani perche' la vanga nel penetrare incontrava ostacoli. A quel sito poi sembrava volerci condurre anche una sorta di mappa dei ritrovamenti di reperti di epoca romana". "Non posso nascondere - aggiunge Carbonelli - che a Cona del Popolo noi cercavamo Ecetra. Avevamo come punto di riferimento anche le considerazioni del parroco di Santa Maria Maggiore Don Egidio Schietroma che interessato anch'egli a questi argomenti, aveva per suo conto, condotto alcuni studi in seguito ai quali concluse, suffragato da alcuni testi di storia dell'arte, che diverse di quelle monete rinvenute nei campi della valle recavano simboli ed elementi di arte volsca".

Ad ogni modo quando quella domenica mattina del 13 ottobre 1963 Carbonelli e D'Arolfi si misero a scavare sul terreno, allora appartenente alla parrocchia di S. Pietro, rimasero felicemente sorpresi nel constatare che le loro supposizioni circa la presenza di un insediamento nel sottosuolo, che si trattasse di Ecetra o meno, non erano affatto campate in aria.

Dopo qualche picconata, ad una trentina di centimetri di profondita', avevano riportato alla luce un grande e pregiatissimo mosaico, a tessere bianche e nere, raffigurante il dio Nettuno che, alla guida di una quadriga impugna fieramente un tridente. A scavo inoltrato ci si rese poi conto che in realta' si trattava della pavimentazione di un ambiente termale di una piu' grande villa romana. Di questa importante scoperta furono avvisate le autorita' civili ed i Carabinieri del posto, ed ovviamente la Soprintendenza delle Belle Arti che prese in mano l'intera situazione.

Ancora oggi dal Canada, Ernesto Carbonelli continua la sua personale ricerca, indagando e studiando documenti, rilievi aerofotogrammatici, e tutte le testimonianze che possano aiutare a dipanare l'intricata matassa sull'esatta collocazione della citta' scomparsa o comunque utili a eliminare i troppi "si dice ..." che precedono qualsiasi racconto riguardante la storia di Supino.

TANTI REPERTI E "L'IMPERO ROMANO"

Nel corso degli anni le terre della campagna supinese hanno restituito all'uomo molti reperti, per lo piu' raccolti dalle mani dei contadini che lavoravano i campi: anfore decorate di rame o di altro metallo, monete risalenti ad epoche comprese tra il IV secolo a.C. ed il tardo impero romano, statuine e cimeli di ogni genere; tutti reperti che furono fatti sparire per timore di perquisizioni e, nella maggior parte dei casi, per la paura di vedersi requisire il fondo che assumeva un interesse archeologico. Molti altri di questi preziosi reperti sono finiti nelle mani di avidi collezionisti che, ben celandoli, continuano a sottrarli al pubblico godimento.

Sapendo del ritrovamento avvenuto negli anni Trenta, di una minuta statuina di bronzo raffigurante un comandante guerriero in atto di chiedere la parola subito denominata "L'impero Romano", Ernesto Carbonelli ha iniziato ad occuparsi delle questioni archeologiche supinesi ed a questi argomenti e' riuscito a coinvolgere l'interesse di altri suoi amici. Di questa preziosa statuina, cosi' come di altri reperti, non si hanno piu' notizie anche se allora richiamo' a se' l'attenzione di molti esperti e studiosi d'arte alla quale fu mostrata. Per l'allora conservatore del Castello Sforzesco di Milano, dr. Belloni, "quel bronzetto doveva risalire senza dubbio ad epoca compresa tra il terzo e quarto secolo a.C. e che era opera di artisti locali" (Antonio Arcese. "Scoperto il luogo dove scorgeva Ecetra - la citta' volsca distrutta dai romani " - Il Tempo - Cronaca di Frosinone - 14 ottobre 1963). L'ultima "apparizione pubblica" de "L'Impero Romano" risale alla pubblicazione di "Statuta Castri et Universitatis Supini" del prof. Cesare Bianchi da parte del Comune di Supino nel 1986 nella quale si riproduceva la foto del bronzetto italico per gentile concessione di Mons. Egidio Schietroma.

PRIVITO: FAVISSE, NECROPOLI, TEMPIO DI ESCULAPIO

Anche le interessanti scoperte fatte qualche anno prima del 1963, negli anni 1958-1959, in occasione della costruzione dello stabilimento di pneumatici "Riva" (oggi occupato da altre attivita' produttive), in prossimita' della fonte di Privito, avevano fornito ulteriori impulsi alla fervida immaginazione di Carbonelli, sempre piu' deciso a volerci veder chiaro. In prossimita' della fonte esistevano due "favisse" che vennero fatte saltare in aria e che nell'esplodere hanno riversato in superficie varieta' di reperti tra cui monete e numerosi frammenti di coccio e di metallo riproducenti parti anatomiche del corpo umano. Doveva trattarsi per lo piu' di ex voto alla divinita' romana di "Esculapio", dio della medicina, che i greci chiamavano "Asclepio". Stando ai racconti mitologici, Asclepio, figlio di Apollo, fu avviato alla medicina dal centauro Chirone e poiche' ebbe l'ardire di resuscitare un morto dovette subire il castigo di Zeus che, scacciatolo dall'Olimpo, lo ridusse a divinita' sotterranea in grado comunque di fare oracoli sulla medicina. Le favisse (famose quelle del Campidoglio, asservite al tempio di Giove), invece, erano in pratica pozzi o cisterne scavate in prossimita' di templi nelle quali si accumulava l'acqua con la quale i fedeli dovevano purificarsi prima di accedere al luogo sacro. In seguito, le favisse divennero dei comodi contenitori per raccogliere gli oggetti votivi e sacri che non trovavano piu' spazio all'interno del tempio e che, per la loro sacralita', non potevano in alcun modo essere gettati via. Cosicche', quando a Privito furono accese le micce venne fuori ogni sorta di prova che, sul posto, accanto alla fonte ed alle favisse, doveva esserci proprio un tempio dedicato ad Esculapio oltre alla necropoli scavata nella vasta area di tufo che si estende nelle vicinanze e sulla cui presenza, gia' da allora, non vi erano dubbi. A memoria d'uomo esistono testimonianze del fatto che accedendo a Privito dalla via Morolense, erano all'epoca visibili i ruderi delle mura che, con molta probabilita', ospitavano il tempio di Esculapio oltre che ad una piu' prossima favissa di minori dimensioni a suo ridosso.

OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO TURISTICO MANCATA

Oggi sappiamo che i manti erbosi, non solo di Cona del Popolo, ricoprono una vasta area archeologica risalente quanto meno ad epoca romana e che anche su altri fondi e' possibile riconoscere le sagome di insediamenti urbani sepolti. "Se ne accorse a suo tempo anche l'allora sindaco Pierino Schietroma che analizzando una foto aerea dell'aeronautica - racconta Carbonelli - si rese conto che nell'area tra la localita' "i Colli" ed il tracciato di Via La mola, sull'estensione del "prato di Ricci" (oggi lottizzato ed ampiamente urbanizzato), erano chiaramente visibili forme particolari".

Chissa' se un giorno essi potranno essere riportati alla luce. La cosa che lascia perplessi e che fa mordere le dita e' la cronica assenza dei pubblici poteri che, in questi quaranta anni, pur sapendo dell'inestimabile patrimonio storico ed artistico sepolto non hanno fatto nulla, grazie anche all'assenza di un piano regolatore, per evitare l'urbanizzazione selvaggia delle aree piu' interessanti. Ci accorgiamo ancora oggi che di quei reperti ritrovati, e che a suo tempo furono catalogati, fotografati e consegnati ai Carabinieri ed agli ispettori delle Belle Arti, non se ne sa piu' nulla e ci si rende quindi conto che essi non potranno mai far parte di un possibile museo storico supinese. Per loro conto le amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni si sono limitate, quando ci sono riuscite, ad assicurare una copertura a quella porzione di villa riportata alla luce. Per il resto nulla di piu'. In tempo di elezioni e' piu' volte stato sbandierato dai politici un certo interessamento per questo patrimonio archeologico ma solo oggi, grazie allo stanziamento della Regione Lazio di cinquecento milioni, si ha la speranza di incominciare a vedere i primi veri interventi. La comunita' resta comunque defraudata.

Supino, 28 ottobre 1999 Pierpaolo Cerilli

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